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Biotestamento, Englaro: “Dieci anni fa ero solo, oggi il Paese è pronto”

Se c’è un uomo che incarna su di sé tutto il travaglio della mancanza di una legge sul testamento biologico, questi è Beppino Englaro. La sorte gli ha sottratto l’unica figlia, Eluana, in un incidente d’auto nel lontano 1992, lasciandogli soltanto un corpo condannato a uno stato vegetativo permanente.

L’arretratezza delle istituzioni, la sordità emotiva dell’opinione pubblica e l’opposizione spesso sgraziata della politica, lo hanno impegnato in una battaglia ventennale per ottenere che quel corpo fosse lasciato andare alla sua morte naturale. Come Eluana avrebbe voluto, secondo la testimonianza della famiglia e degli amici, e come pietà sempre vorrebbe.

Ci è riuscito soltanto nel 2009, forte di una sentenza definitiva a suo favore e dell’aiuto di medici e giuristi, proprio mentre il Parlamento discuteva un precipitoso disegno di legge per impedire la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione ai pazienti in coma.

Un colpo di scena finale degno di una tragedia dei nostri tempi che tenne gli italiani con il fiato sospeso ed ebbe il merito di costringerli a guardare in faccia il problema della libertà di scelta alla fine della vita. Dopo otto anni dalla morte di sua figlia Eluana, si discute finalmente una legge sul testamento biologico. Pensa che oggi il Paese sia pronto ad accettarlo? «Il Paese ha dimostrato da tempo di essere pronto. Ho paura che sia il Parlamento a non esserlo. Si minacciano già migliaia di emendamenti. Ma l’opinione pubblica vuole questa legge».

ALBI asbl

 

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