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Per ricordare Max Fanelli portiamo avanti la sua battaglia per l'eutanasia


"Non ho paura di morire, ho paura di vivere anni seppellito vivo nel mio corpo, incapace di comunicare emozioni, pensieri e desideri".

Massimiliano Fanelli da molto tempo non aveva voce in gola per parlare, né per deglutire, e nemmeno per respirare. Ogni organo del suo corpo, - a partire da quel febbraio 2013 in cui aveva ricevuto la diagnosi della sclerosi laterale amiotrofica - aveva finito con l'irrigidirsi.

Solo all'occhio destro restava una quasi impercettibile possibilità di movimento. E con questo, infatti, muoveva un puntatore su uno schermo per scrivere le ragioni della sua ultima battaglia. Quella per una morte dignitosa, o - come la chiamava Piergiorgio Welby - una morte opportuna.

La madre di Fanelli, in età più avanzata, aveva affrontato la stessa patologia. Per questo, egli conosceva bene quelle sofferenze, sia per chi le patisce sul proprio corpo, sia per chi gli stanno accanto. Per la legge italiana Fanelli avrebbe potuto sospendere, in quanto trattamento sanitario, l'alimentazione artificiale, che consisteva nell'introduzione nel suo corpo di un preparato nutritivo attraverso un tubo impiantatogli nello stomaco. Avrebbe potuto lasciarsi morire di fame e di sete, con atroci sofferenze, come ha fatto nel 2007 Giovanni Nuvoli, anche lui imprigionato dalla sla. Ma questo non riusciva a farlo a sé stesso, né a sua moglie e alle altre persone che gli volevano bene...

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